Negli ultimi mesi l’US Africa Command (AFRICOM) è tornato a far parlare di sé sulle pagine dei giornali in due particolari occasioni.
La prima di queste risale a dicembre ed ha ad oggetto le rivelazioni da parte di Wikileaks di note dell’ambasciatore USA in Italia, Ronald Spogli, in merito all’istituzione di sotto-comandi AFRICOM presso basi italiane (1).
La seconda è ancora più recente e riguarda l’attuazione della risoluzione O.N.U. 1973 in Libia: sul comando delle operazioni vi è stato un passaggio di responsabilità dall’AFRICOM alla NATO, anche se l’AFRICOM continuerà ad avere importanti ruoli nelle operazioni, come dichiarato in una recente intervista (2) dal generale Carter F. Ham, responsabile del Comando africano.
L’AFRICOM nasce come autonomo Comando del Dipartimento della Difesa USA nel 2008. Scopo dichiarato è il rafforzamento della partnership militare con i Paesi dell’area africana, al fine di contrastare il terrorismo internazionale e garantire la pace e la sicurezza continentale, nell’interesse comune delle popolazioni africane e degli Stati Uniti.
Dalle opinioni di analisti e politici USA emerge dopo l’11 settembre la preoccupazione per il fattore Africa, come possibile centro di nascita e sviluppo di realtà legate al terrorismo internazionale. La sicurezza interna degli USA non è in realtà né l’unico né evidentemente il maggiore elemento di preoccupazione dell’establishment americano: diventa infatti sempre più delicato il problema della garanzia di acquisizione delle risorse africane.
Indicava J. Peter Pham (3) nel 2008, fra le priorità strategiche degli USA in Africa, “la protezione dell’accesso agli idrocarburi ed altre risorse strategiche di cui l’Africa dispone in abbondanza” e “la garanzia che nessun’altra parte interessata, compresi Cina, India, Giappone e Russia, ottenga monopoli o trattamenti differenziati” (4) e questo anche in previsione della grande crescita della domanda di energia africana da parte degli USA nel breve-medio periodo.
Una rapida panoramica dei principali scenari di coinvolgimento del Comando conferma l’importanza dello stesso come strumento tanto di controllo strategico di spazi e risorse, quanto di contenimento dell’affermazione in Africa di altri attori globali, Cina in primis.
Si noterà inoltre che le aree nelle quali l’AFRICOM opera maggiormente erano già oggetto di attività strategico-militare USA prima ancora dell’istituzione del Comando africano, nel 2008. Quest’ultimo ha in effetti permesso un più efficace coordinamento e consolidamento della presenza militare statunitense ma, se si volesse idealmente indicare la data di inizio di una politica militare ‘pervasiva’ degli USA in Africa, si dovrebbe tornare indietro all’11 Settembre, come già accennato. Fino agli anni ’90, infatti, le attività militari che hanno coinvolto direttamente gli USA nel continente sono state poche e di scarso rilievo, fatta eccezione per l’intervento contro la Libia del 1986; è invece proprio con la dichiarazione di guerra al terrorismo globale, fatta sotto l’allora presidenza Bush, che le cose cambiano.
Nel novembre 2002 viene istituita la Pan-Sahel Initiative (PSI), finalizzata all’eradicazione di realtà terroristiche nella regione sub-sahariana e basata sulla collaborazione con Mali, Mauritania Niger e Chad. Nel 2004 tale progetto verrà sostituito dalla Trans-Saharan Counterterrorism Initiative (TSCTI), la quale prevederà un consistente allargamento dei Paesi interessati al progetto; la responsabilità delle operazioni di addestramento e supporto delle forze militari della regione passerà dal US European Command (EUCOM) all’AFRICOM nel 2008, per concretizzarsi nell’Operation Enduring Freedom Trans Sahara che attualmente coinvolge gli eserciti di 10 Stati (5) in una regione tanto instabile quanto ricca di risorse.
Sempre nel novembre 2002, parallelamente all’Initiative nel Sahel, gli USA istituiscono la Combined Joint Task Force per il Corno d’Africa (CJTF-HOA) e l’anno successivo si insediano definitivamente nella base militare di Camp Lemonnier (Gibuti). La posizione della base è di grande rilevanza strategica per il controllo dell’entroterra africano orientale e delle vie marittime del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano, passando per il Golfo di Aden, nonché per la vicinanza con la penisola arabica. Anche la CJTF-HOA è passata nel 2008 sotto il Comando AFRICOM; in precedenza la responsabilità era del United States Central Command (USCENTCOM).
Passando al lato opposto del continente, vediamo che un’area di grande sensibilità per gli interessi USA è il Golfo di Guinea, per le enormi riserve di idrocarburi dei Paesi che ivi si affacciano. E’ per questo che la sicurezza marittima dell’area è stata oggetto di grande attenzione (6) da parte del Comando africano sin dalla sua costituzione.
Arriviamo poi alla regione dei Grandi Laghi; anche qui rileva la preoccupazione USA per il controllo degli equilibri regionali, la quale è dimostrata dall’organizzazione di grandi esercitazioni militari congiunte con i Paesi della regione (7) e dai tentativi di sconfiggere i ribelli del Lord Resistance Army ed eradicare la loro presenza dal nord dell’Uganda. Alla fine dell’anno appena trascorso i paesi dell’area hanno approvato le strategie proposte dagli USA a tale scopo, in occasione della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi, discutendo anche del massiccio sfruttamento illegale delle ingenti risorse dell’area (8).
Durante questi suoi pochi anni di vita, è sorto un vivo dibattito sul Comando africano e la sua presenza nel continente. Si constata l’atteggiamento quantomeno ambiguo e timoroso dei Paesi africani, anche quelli più vicini agli USA, nei confronti della nuova presenza militare; un segno tangibile di simili prevenzioni è dato dal fatto che l’AFRICOM ha ancora la sua sede in Europa, a Stoccarda, e le grandi potenze continentali come Algeria, Nigeria, Sudafrica hanno preannunciato il loro fermo rifiuto all’installazione della sede centrale entro i propri confini.
Numerosi analisti africani guardano con preoccupazione ad una simile presenza nel loro continente, percepita come un ritorno alle trascorse esperienze coloniali che vanificherebbe gli sforzi compiuti nell’ultimo secolo per l’autodeterminazione (9) e che ricorderebbe i tempi della Conferenza di Berlino del 1884 (10). D’altronde, anche gli analisti statunitensi convinti promotori del progetto AFRICOM, come il già citato J. Peter Pham, riconoscono le difficoltà derivanti dalla percezione di un rinnovato pericolo colonialista (11).
Un’interessante chiave di lettura geopolitica del ruolo dell’AFRICOM è offerta nel lavoro di tesi di dottorato di uno studente ugandese, ripreso dal sito di informazione panafricana All Africa(12). Lo studio vede l’azione degli USA e dei suoi alleati occidentali come finalizzata ad indebolire i sistemi politici interni dei Paesi africani per ottenere il controllo delle risorse. L’azione dell’AFRICOM viene inquadrata nell’ambito delle strategie delineate da Samuel Huntington, in particolare nel suo saggio Next pattern of conflict, secondo quella che da alcuni è stata definita la ‘militarizzazione della globalizzazione’.
Si è fatto cenno alla crescente influenza cinese nel continente africano e al fatto che la stessa AFRICOM venga vista, come accennato, in funzione di contrasto alle ambizioni di Pechino. La penetrazione cinese negli ultimi anni si è dimostrata molto efficace; Pechino ha saputo prevalere sugli altri competitori globali grazie alle sue politiche molto convenienti per gli stessi Paesi africani e basate sull’erogazione di credito a condizioni vantaggiose, su importanti investimenti nelle infrastrutture e nello sviluppo tecnologico, e sulla non-ingerenza negli affari interni degli Stati. Il Presidente del Senegal ha avuto modo di dichiarare recentemente: “in meno di 10 anni di cooperazione con la Cina, l’Africa ha ottenuto 1000 volte più di quanto ha avuto in 400 anni di relazioni, di chiacchiere e dolori con l’Europa” (13). L’espressione colorita sintetizza probabilmente un pensiero condiviso da molti leader africani.
Gli USA dal canto loro hanno spesso fatto leva su istituzioni internazionali quali l’F.M.I. per contrastare l’avanzata del Dragone (14) e da questo punto di vista l’AFRICOM avrebbe le medesime finalità, avvalendosi strumentalmente della potenza militare statunitense.
In conclusione riportiamo la lettura che del Comando Africano fa uno stratega cinese, membro dell’Accademia di Scienze Militari: “Geograficamente, l’Africa è affiancata dall’Eurasia, con la sua parte settentrionale ubicata nel punto di congiunzione dei continenti asiatico, europeo ed africano. L’attuale dislocazione militare statunitense globale si concentra su di un’instabile “zona ad arco” dal Caucaso, Asia centrale e meridionale, sino alla penisola coreana, e così il continente africano è usato come solida base per sostenere la strategia globale statunitense. Quindi, l’AFRICOM facilita l’avanzata degli Stati Uniti nel continente africano, il controllo del continente eurasiatico, e la conquista del timone dell’intero globo” (15). Un’analisi che converge con quella di Tiberio Graziani, direttore della rivista Eurasia, il quale legge la penetrazione statunitense in Africa come diretta non solo al controllo e al sicuro approvvigionamento delle risorse, ma anche ad una politica perturbativa delle relazioni sud-sud (il cui consolidamento è evidentemente fonte di non poche preoccupazioni a Washington) ed infine alla disposizione di “un ampio spazio di manovra, da cui rilanciare il proprio peso militare sul piano globale al fine di contendere alle potenze asiatiche il primato mondiale” (16).
Vedremo allora quale sarà la sorte del continente africano nei decenni a venire e se questi riuscirà ad affermarsi come soggetto, più che come oggetto, della competizione globale. Sembra evidente che attualmente l’unica via alla sua emancipazione è data dalla leva potenziale dei progressivi fenomeni di integrazione sud-sud succitati, laddove invece una realtà come AFRICOM non potrà che costituire ulteriore ipoteca all’autodeterminazione e allo sviluppo dell’Africa. E molti africani sembrano consapevoli di questo.
1) Giulio Todescan, “I segreti della base Usa di Vicenza finiscono su Wikileaks”, “Corriere del Veneto”, 4 dicembre 2010
2) Trascrizione dell’intervista reperibile sul sito ufficiale dell’AFRICOM al seguente indirizzo: http://www.africom.mil/getArticle.asp?art=6311&
3) Consigliere dei Dipartimenti di Stato e della Difesa USA.
4) Pham J. Peter, Strategic Interests, World Defense Review, 5 febbraio 2009.
5) Algeria, Burkina Faso, Marocco, Tunisia, Chad, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, e Senegal. http://www.africom.mil/oef-ts.asp
6) Maritime Security in Africa, U.S. AFRICOM Public Affairs Office, 7 febbraio 2008.
7) Kevin J. Kelley, Uganda: Big U.S. Military Exercise for Northern Region, Global Research, 12 ottobre 2009.
8 ) Elias Mbao, Great Lakes Bloc Backs U.S. Kony Strategy, All Africa, 16 Dicembre 2010.
9) Tichaona Nhamoyebonde, Africom – Latest U.S. Bid to Recolonise the Continent, Global Research, 9 gennaio 2010.
10) Itai Muchena, Germany – Hotbed of imperialism, The Herald, 7 aprile 2010.
11) V. nota n. 4.
12) Julius Barigaba, Oil, Minerals and the Militarisation of Globalisation, All Africa, 22 Marzo 2010.
13) v. Luca Alfieri, La politica estera della Cina in Africa e nel resto del mondo, Eurobull, 30 ottobre 2009.
14) Renaud Viviene et alii, L’ipocrita ingerenza del FMI e della Banca mondiale nella Repubblica democratica del Congo, Voltairenet, 19 ottobre 2009.
15) Lin Zhiyuan, U.S. moves to step up military infiltration in Africa, People’s Daily, 26 febbraio 2007.
16) Tiberio Graziani, L’Africa nel sistema multipolare, Eurasia, 3/2009, Settembre-Dicembre.