Fonte: http://www.strategic-culture.org/pview/2011/04/01/persian-gulf-gets-a-provider-of-security.html
La visita del Ministro degli Esteri del Bahrein Khalid Bin Ahmed Al Khalifa a Islamabad lo scorso martedì è stata un momento fondamentale del capitolo aperto sul Golfo Persico nella dilagante “rivoluzione araba”. Egli ha incontrato il Presidente pachistano Asif Ali Zardari, il Primo Ministro Yosuf Raza Gilani e il Segretario di Stato per gli Affari Esteri Hina Rabbani Khar e l’ordine del giorno naturalmente si è sviluppato attorno ai rapidi cambiamenti per la sicurezza nella regione del Golfo Persico.
Il Ministro degli Esteri in visita ha portato un messaggio dal re Hamad, che esprime l’approvazione del Bahrein per la “posizione di principio” presa dal Pakistan riguardo alla situazione della sua nazione – in particolare la crescita di potere degli Sciiti e la repressione dei manifestanti ad opera del governo con l’ausilio di forze dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti.
Certamente, il Pakistan ha preso una posizione inequivocabile nella crisi del Bahrein. (Lo stesso non si può dire per l’India, per esempio, la cui posizione è al contrario ambigua e la quale ha adottato una atteggiamento ambivalente con la “rivoluzione araba”. L’India è stata una cassa di risonanza per i germogli di democrazia in Libia o in Egitto ma tende ad essere reticente sugli sviluppi in Bahrein). Zardari ha dichiarato ai dignitari bahreiniti in visita: “Il Pakistan ambisce alla pace, alla sicurezza, e alla stabilità nel Bahrein. Il Pakistan […] non auspica in alcun modo che la sua stabilità sia sconvolta in alcun modo. Il Pakistan crede che sarebbe pericoloso per la pace nella regione e per la stabilità se il sistema fosse destabilizzato in un modo o in un altro”. Il Bahrein non ha avuto un supporto tanto caloroso se non dal Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) e ne è ampiamente soddisfatto.
Cittadini pachistani stanno lavorando in veste di personale di sicurezza in Bahrein e il governo locale ha abbracciato la politica di offrire a tali lavoratori migranti dalle nazioni sunnite la cittadinanza bahreinita. Gli Sciiti del Bahrein, d’altro canto, li identificano come “mercenari”. Fino ad ora, cinque pachistani sono stati uccisi in Bahrein. La crescente indisposizione verso i Pachistani tra gli Sciiti bahreiniti (che corrispondono al 70 per cento della popolazione) non sembra preoccupare Islamabad. La linea di fondo pachistana sembra essere che l’Arabia Saudita non permetterà mai la presa di potere degli Sciiti nel confinante Bahrein e, di conseguenza, questo è un ottimo investimento politico per salire sul carro del vincitore.
Dal punto di vista economico, parimenti, il Pakistan otterrà giovamento se verrà mantenuto lo status quo nei regimi del Golfo Persico. Se le nazioni del GCC possono essere incoraggiate a vedere il Pakistan come un garante della sicurezza, ciò può condurre a molte conseguenze, come nuove opportunità per i lavoratori pachistani espatriati in tali nazioni, termini favorevoli per il rifornimento di petrolio, assistenza economica dai petrodollari degli Stati del GCC e una posizione privilegiata per il Pakistan nella sua estesa politica estera ad Occidente. Inoltre, il Pakistan sarebbe anche libero di puntellare gli interessi strategici statunitensi nella regione. (La quinta flotta statunitense, per esempio, ha base in Bahrein.)
L’Arabia Saudita ha virtualmente in suo pugno l’intera responsabilità – politica, finanziaria e militare – di scacciare il regime da Manama. Probabilmente, la visita del Ministro degli Esteri bahreinita a Islamabad è stata decisa dopo una preventiva consultazione e coordinazione con Riyad. Il Ministro degli Esteri saudita Saud al-Faisal ha anch’egli visitato importanti capitali regionali e mondiali, raccogliendo consenso per intervenire in Bahrein. Benché le relazioni tra Arabia Saudita e Pakistan siano passate, almeno relativamente, attraverso un momento difficile negli ultimi tempi, il Pakistan è stato tempestivo nell’esprimere il suo supporto all’intervento saudita in Bahrein. Ciò infatti non sarebbe passato inosservato per il governo Saudita. Così, la crisi in Bahrein pone anche le basi per mettere a nuovo i tradizionali forti legami sauditi-pachistani. (Il che può avere interessanti svolgimenti nella situazione afghana, tenendo in conto l’intenzione del Pakistan di reintegrare all’interno delle file della politica e del governo di Kabul i talebani insorti).
Il fulcro della questione è che il Pakistan ha spazzato via le ragnatele ideologiche permettendo il prevalere di una fredda logica di interesse personale nelle posizioni riguardo alla “rivoluzione araba”. Il punto è che Islamabad ha tratto beneficio dagli stretti legami di amicizia con le oligarchie arabe ed è tutt’altro che convinta che il dilagare del virus democratico nella regione del Golfo Persico avvantaggerà i suoi interessi. Come asserisce il quotidiano pachistano Dawn, “il Pakistan ha supportato la monarchia del Bahrein durante la ‘primavera araba’, che ha visto insurrezioni di massa in Bahrein e altre nazioni mediorientali, ed è convinto che le proteste democratiche possano destabilizzare la situazione della regione”.
Vantaggi e svantaggi
È una posizione puramente logica, ben delineata, quella che dona grande stabilità ai regimi nel Golfo Persico. Non sono molte le nazioni di un certo peso nella comunità internazionale – fatta eccezione, ad esempio, per la Cina e la Gran Bretagna – che sarebbero in grado di adottare una strategia tanto categorica per mantenere la stabilità regionale ad ogni costo associandola allo status quo nelle strutture politiche delle nazioni dell’area. Il Pakistan sembra aver riscontrato che ciò lo ha posto in una posizione privilegiata come fornitore di materie prime e garante della sicurezza per i regimi del Golfo Persico.
Senza dubbio, la posizione del Pakistan è unica. Ha un poderoso esercito permanente, che è composto di professionisti e inoltre conta tra le fila un gran numero di militari sunniti e ufficiali di fede musulmana. L’esercito pachistano ha un’antica tradizione di tutela della sicurezza per i regimi mediorientali, inclusa l’Arabia Saudita. Inoltre, non esiste oggi un’altra nazione musulmana in grado di mettere in pratica la volontà politica di tutelare la sicurezza dei regimi del Golfo Persico. La Turchia potrebbe assumere questo ruolo nel Medio Oriente musulmano, ma semplicemente non ha interesse a farlo, dati i complicati retroscena della Storia ottomana. Anche l’Egitto potrebbe essere un tutore della sicurezza, ma il suo esercito è impantanato nel gravoso impegno di guidare la transizione democratica in atto nel paese. E Stati come Bangladesh, Malesia o Indonesia non “appartengono” alla regione del Golfo Persico, a differenza del Pakistan.
Le autorità pachistane, stando a quanto riferito, stanno progettando di portare avanti la “cooperazione per la difesa” con il Bahrein. Il Dawn ha citato un ufficiale veterano pachistano molto legato alla faccenda, sostenendo “il Primo Ministro Gilani aveva preparato insieme a lui una proposta per il Primo Ministro del Bahrein, che gli offrisse la possibilità di reclutare personale esonerato dall’esercito pachistano nelle forze di difesa bahreinite, ma questa opportunità non si è verificata perché le trattative si sono limitate a una larga scala senza scendere nei dettagli.”
Il Dawn ha aggiunto: “la cooperazione difensiva Pakistan-Bahrein è già un embrione relativamente sviluppato. Il Pakistan ha aiutato il Bahrein a mettere in piedi le sue forze navali e il 18 per cento della flotta aerea del paese del Golfo comprende personale pachistano. È stato stimato che circa 10.000 pachistani sono impiegate nei servizi di sicurezza del Bahrein e una delle esigenze chiave dei rivoluzionari che ambiscono alla fine della monarchia è stata la rimozione dei pachistani dall’esercito bahreinita. Nel passato prossimo il Bahrein si è mostrato interessato all’ottenimento di equipaggiamenti difensivi dal Pakistan e le sue Guardie Nazionali stanno al momento reclutando personale di sicurezza tramite le ali militari pachistane del welfare che fanno capo alla Fauji Foundation e alla Bahria Foundation.”
Una nazione che presto sarà in grande disappunto per le mire di Islamabad, procedendo a fatica nelle pericolose acque del Golfo Persico in questo momento cruciale per la geopolitica della regione, è l’Iran. Il braccio di ferro imposto dal Pakistan nel cortile di casa dell’Iran – specialmente per bloccare le aspirazioni sciite di espansione politica ed economica in Bahrein – si muove in direzione diametralmente opposta alla linea sposata da Teheran, e cioè la necessità imperativa di cambiamenti di regime e di una transizione democratica nei confinanti stati del Golfo Persico. Per restare al sicuro, il Pakistan sta compiendo una grossa scommessa tuffandosi nei problemi del Bahrein, ricchi di sfumature partigiane che stanno già causando grattacapi in paesi come Iraq, Libano e Kuwait.
Il disappunto e la collera dell’Iran verso il Pakistan su questa situazione, tuttavia, sarà più che compensato dal sospiro di sollievo di una parte di potenti stati della comunità internazionale – gli Stati Uniti ed i loro alleati occidentali in particolare, oltre naturalmente ad Israele – che si dà il caso condividano la propensione di Islamabad a favorire lo status quo nelle oligarchie arabe filo occidentali dell’area. Ma le nazioni occidentali si ritrovano di fronte a un dilemma: esse approvano in linea di principio le riforme democratiche e sarebbero entusiaste di imporle a Libia, Siria e Iran, ma sono intimorite dallo spettro di una legge rappresentativa nella regione del Golfo Persico. In ogni caso, se non tramite proxy, è problematico per loro intervenire direttamente nelle nazioni musulmane. Anche in Libia, le potenze occidentali necessitavano disperatamente della foglia di fico della “partecipazione araba” nell’intervento militare.
L’ingresso del Pakistan nelle questioni di sicurezza del Golfo Persico mette in luce la centralità delle strategie regionali degli Stati Uniti. Nonostante la situazione, in rapido sviluppo, di partnership statunitense con l’India e, nonostante la retorica americana riguardo alla preminenza dell’India sulla regione dell’Oceano Indiano, la dura realtà geopolitica resta tale, che il Pakistan cioè è collocato in una posizione unica per assecondare le strategie regionali statunitensi nelle aree chiave come l’Asia Centrale e Occidentale.
Traduzione a cura di Alessandro Parodi