Un’ondata di estremismo sta dilagando in tutto lo Yemen. Nella penisola araba, in Yemen Al Qaeda cerca di rovesciare i regimi filo-occidentali, mentre la vicina Arabia Saudita è considerata come la forza numero uno del terrorismo nella regione. L’attività del gruppo infastidisce in modo crescente Washington, il cui elenco di zone prioritarie comprende la penisola arabica ed il Corno d’Africa. Nel passato, la concentrazione di agenti della Cia presenti in Yemen era un elemento inferiore rispetto, ad esempio, al Pakistan, ma l’atmosfera pacifica dello Yemen alla fine si è dimostrata ingannevole dal momento che il paese ha iniziato a scivolare verso la radicalizzazione. La debolezza dell’autorità centrale del paese e la discordia all’interno della società contribuiscono a questo processo.
Finora le proteste in Yemen stanno sostenendo le richieste di cambiamento sociale. In alcune città, il numero dei manifestanti che è stato riferito ha raggiunto almeno le 5.000 persone. L’amministrazione sta cercando, sia pure senza successo, di ricostruire l’unità nazionale: nel mese di febbraio, il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh, che ha governato il paese per 32 anni, ha messo a punto un piano per un governo di coalizione in cui a tutti i partiti dell’opposizione è stata promessa la partecipazione. Se il tentativo di compromesso fallisce, la temperatura dei conflitti tra le tribù dello Yemen salirà prontamente fino al punto di ebollizione e il paese, diviso, sprofonderà nel caos di una guerra civile.
L’opposizione non ha alcuna intenzione di ammorbidire la propria posizione, nonostante l’apertura di Saleh ad un compromesso. Come strategia generale, l’amministrazione getta deliberatamente benzina sul fuoco dei conflitti tra le tribù, e inoltre porta centinaia di membri delle tribù dalle regioni periferiche del nord del paese a Sana’a, dove l’attuale presidente continua a beneficiare del sostegno. I principali rivali di Saleh sono la tribù Hashid, del clan Al-Ahmar, uno dei più ricchi e più influenti dello Yemen. Gli Hashid sono numericamente inferiori ai loro rivali, i Bakil, ma hanno una migliore organizzazione politica. In febbraio, lo sceicco Husayn ibn Abdullah al-Ahmar e suo fratello, lo sceicco Hameed Al-Ahmar, hanno esortato Saleh a dimettersi, usando, nelle loro dichiarazioni, un linguaggio impressionatamente duro.
La situazione di stallo tra i due clan principali aggiunge una dimensione ulteriore al disordine nello Yemen. Gli Hashid stanno portando dalla loro parte un numero sempre maggiore di sostenitori, comprese alcune fazioni della tribù Bakil. Eppure, i principali alleati del clan Al-Ahmar sono pesantemente armati, e la tribù più influente dello Yemen, Kavalan, abita nella regione a est di Sana’a. Anche molte altre tribù della provincia di Ma’rib hanno aderito al clan Al-Ahmar in opposizione al regime. Ma’rib è lo scenario della lotta particolarmente feroce dell’amministrazione contro i terroristi islamici, anche se i locali sospettano che la campagna anti-Al Qaeda sia un pretesto per ottenere il controllo sulla provincia ricca di petrolio. Il clan Al-Ahmar, probabilmente, sta cercando di approfittare dalle proteste in Yemen per liberarsi del presidente del paese.
Fino a poco tempo fa, Saleh poteva contare sul sostegno degli Stati Uniti e sulla sicurezza delle sue posizioni nella capitale dello Yemen, essendo quest’ultimo anche una risorsa strategica. In Yemen, si ritiene che controllare Sana’a equivalalga a controllare il paese. Al momento, i manifestanti anti-governativi stanno affollando le strade della città, mentre i clan Saleh e Al-Ahmar stanno lottando per il sostegno da parte delle tribù che abitano le regioni confinanti e, di conseguenza, in grado di bloccare le rotte di approvvigionamento della capitale. Se la lotta tra le tribù esce dallo Yemen, Sana’a è destinata ad esserne l’epicentro.
Sul supporto che gli Stati Uniti possono dare a Saleh, che inoltre porterebbe Washington e Tel Aviv ad istigare i disordini, è sospeso un punto interrogativo. Washington ha sostenuto per anni la senior leadership dello Yemen così gratificante per la guerra ad Al Qaeda e per le politiche globali favorevoli agli USA. Tuttavia, lo Yemen affronta un’instabilità maggiore. Washington è consapevole del malcontento della maggioranza del paese e ci si può aspettare che Saleh venga sacrificato a cuor leggero per mantenere il controllo strategico sullo Yemen.
L’instabilità del regime di Saleh allarma la vicina Arabia Saudita, non meno degli Stati Uniti. Riyadh e Sana’a sono alleati e – ovviamente con la benedizione di Sana’a – l’Arabia Saudita ha bombardato gli sciiti yemeniti, una minoranza del 42% nel paese in cui il 52% della popolazione è musulmana sunnita. In Arabia Saudita, la preoccupazione è che lo schema messo in atto dagli sciiti yemeniti ispirerà gli sciiti musulmani del paese a sollevarsi contro il governo. Si è calcolato che gli sciiti yemeniti e sauditi sono orientati verso Teheran, mentre che gli sciiti musulmani in Arabia Saudita si trovino a Nejd, la regione che ha alcune delle più importanti riserve di petrolio del paese.
L’insurrezione sciita può scatenare disordini nel vicino Oman, dove gli sciiti sono politicamente sottorappresentati. Un conflitto di tali proporzioni avrebbe il potenziale di tradursi in una destabilizzazione dell’intera penisola arabica, nell’indebolimento del dominio degli Stati Uniti nella regione, e nel conferimento di potere all’Iran. Gli Stati Uniti sono preoccupati per la possibilità di cedere il controllo sul Golfo di Aden all’Iran, che ha già costruito una base navale in Eritrea, appena al di là del Mar Rosso, e sta sostenendo le proteste sciite in Bahrain, paese che ospita una base navale USA e il 5 ° Commando della marina militare statunitense. I soldati statunitensi e francesi sono dispiegati in Gibuti, ai confini con l’Eritrea.
Nella regione, l’Iran non è l’unico problema di Washington – anche la Cina è sotto i riflettori. Gli Stati Uniti custodiscono il controllo sul porto yemenita di Aden. Il porto può servire per chiudere lo stretto di Bab-el-Mandeb che funge da ingresso principale commerciale della Cina nel Mar Rosso.
La posta in gioco è alta, l’establishment degli USA è sempre più udibile su un intervento militare in Yemen. Il membro del Congresso J. Lieberman ha detto che l’Iraq era la guerra di ieri, l’Afghanistan la guerra di oggi, e lo Yemen sarà la guerra di domani se gli Stati Uniti mostrano abbastanza lungimiranza. Sembra che Washington stia cercando di inviare in modo massiccio, in Yemen, degli operatori di intelligence e degli istruttori militari. Piloti americani travestiti da personale della forza aerea locale sono noti per avere bombardato le postazioni dei ribelli sciiti. Per prendersi cura di loro, un gran numero di droni americani e tecnici stanno andando in Yemen, Gibuti, e Kenya.
L’impressione è che per gli Stati Uniti, Saleh sia una figura scontata. Anche se riuscisse a resistere fino alle elezioni del 2013, nel suo futuro politico a malapena si scorge una possibilità.
Traduzione di Caterina Ghiselli